Mi preme innanzitutto, nell’accingermi a dare testimonianza in pro di una figura della statura di Ugo Piscopo, recentemente scomparso, denunciare il silenzio e la sostanziale indifferenza del mondo letterario e mediatico verso un evento che ha privato la cultura e la civiltà di un protagonista prezioso sotto tutti gli aspetti. Si è andati oltre ogni limite del pur previsto sistema di conventicole di mutuo soccorso e invidiosa competizione che da sempre organizza e ordina il successo (e l’insuccesso) sociale dell’arte in genere.
Non starò a rammentare i meriti letterari del Nostro, ché altri più esperti di me non mancheranno di farlo nell’ambito di questa benemerita iniziativa delle edizioni Marcus, alias Alessandro Carandente, limitandomi a esporre la mia breve ma intensa esperienza vissuta grazie a tanta persona, tanto più che detengo notizie importanti circa l’ultima prestigiosa opera poetica pubblicata per l’affermazione conseguita da Piscopo nella decima edizione del Premio di Poesia Florida-Roma del 2019.
Noto a tanti di nome, lo conobbi di persona a Varsavia nel 2008 presso l’Istituto Italiano di Cultura, in occasione di una mia presentazione nella stessa settimana in cui lui presentava l’amico Nicola Prebenna, e ne potei apprezzare immediatamente la perspicacia e il garbo di gentiluomo. Non conoscevo, invero, concretamente l’entità della sua presenza nella repubblica delle lettere. Me ne parlò diffusamente Stefano Lanuzza, che invece lo conosceva a fondo e da molto tempo, quando si trattò di premiarlo – Lanuzza era membro della giuria – per la sua opera Grano di sabbia, che sarebbe stata, ora lo sappiamo, accuratamente silenziata, a partire dai concittadini scrittori, ai quali non sarebbe potuta mancare nozione di una tal cosa in caso di sufficiente interesse e amore. Si tratta di una cospicua raccolta di haiku che ho curato in prefazione, mettendone in rilievo la capacità di cogliere, mediante un modulo estraneo all’intera tradizione occidentale, i più vari tratti della realtà dei nostri luoghi e dei nostri tempi, rivalutando un genere letterario che, fra noi, si ha ragione di sospettare per lo più frequentato per sfoggio di abilità tecnica e “abundantia mentis”.
Dicevo, appunto, in quarta di copertina: “Il dibattito sulla natura e la probabilità dell’haiku presso la cultura europea, specie italiana, è sempre aperto e presenta problemi fondati, sul piano storico, culturale e quindi identitario nel senso più valido e pregnante del termine, e, malgrado ogni mediazione culturale, questa espressione allogena e ferreamente prescritta nella metrica non ha facile accesso alla sensibilità profonda dell’anima occidentale. Ciò tende a confinare a priori nella pura curiosità culturale e nell’atteggiamento snobistico il gesto di chi vi si dedichi più di tanto. Si può anche condividere in generale. Ma nel caso è sembrato che Piscopo abbia, per così dire, aumentato e rimesso in gioco, in modo convincente, la capacità dell’haiku di agganciare, nella brevità e la sintesi che prescrive, frammenti di realtà a loro volta sorpresi saltando da un appiglio tattico all’altro, avanzando sul terreno letterario come farebbe un fante assaltando un presidio.”
Dal momento di quella pubblicazione, il nostro rapporto maturò in amicizia: lui stava già molto male ed era impedito ad uscire e perfino a leggere, tuttavia mi chiese, per avere “assaggiato” il Nuovo Bestiario, di mandargli qualche altro mio libro: venne a mancare non appena gli fu recapitato il pacco.